RESTAURO DEL COLOSSEO – LA QUALITA’ E LE MODALITA’ DI AFFIDAMENTO LAVORI – IL MESSAGGIO DI ALLARME DI RSF ITALIA

5 Apr 2015 | Sotto News | Scritto da | 3 Commenti

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Pubblichiamo il comunicato condiviso dal Comitato Direttivo di Restauratori Senza Frontiere Italia, redatto sotto forma di “Lettera aperta” e firmato dal Presidente Paolo Pastorello

Abstract 

Intorno al Colosseo si addensano da tempo nubi di tempesta, sintomo di un pericolo e anche del disagio profondo di un’intera categoria di professionisti che riverbera nella sinistra fama dell’arena, un possibile presagio d’eliminazione della professione del Restauratore e dell’intero patrimonio scientifico, di esperienze e di studio di sua competenza.

Il timore fondato è che l’intervento possa costituire l’esempio da ripetere per il futuro. L’operazione restauro Colosseo infatti, individua  professionisti e operatori diversi dal Restauratore di Beni Culturali, affidando i lavori alle ditte edili, considerate strutturate e quindi veloci, che hanno in capo essenzialmente Architetti e Ingegneri, i quali normalmente rispondono dell’operato degli operai comuni. Proprio questa contraddizione é emersa in modo dirompente nel corso dell’intervento al Colosseo, quando i lavori di conservazione considerati come lavori edilizi, furono fermati per imporre la presenza di Restauratori di Beni Culturali al posto degli operai, che danneggiavano le superfici. I restauratori oggi stanno lavorando assunti con contratti dell’edilizia industriale e rispondono a logiche di tempistica, quindi anche di metodologia, non rispondenti ai corretti interventi di conservazione. Si tratta perciò di una vera e propria distorsione del senso di applicazione della norma, che ha purtroppo gravissime conseguenze quando a farne le spese è il nostro fragilissimo patrimonio archeologico monumentale.


“Lettera aperta al Presidente Matteo Renzi e al Ministro Dario Franceschini sul restauro del Colosseo e la normativa per la tutela dei Beni Culturali” 

 

Signor Presidente Renzi, On. Ministro Franceschini,

Prendendo spunto dalla recente riapertura dell’acceso e ormai annoso dibattito intorno alla vicenda del restauro del Colosseo, scrivo a nome del Comitato Direttivo e nella qualità di Presidente dell’associazione Restauratori Senza Frontiere, organizzazione di promozione sociale senza fine di lucro.

L’organizzazione si pone come fine statutario il miglioramento della politica della tutela e lo sviluppo del settore socio-economico dei Beni Culturali nel nostro meraviglioso e martoriato Paese. RSF chiama a raccolta tutte le professionalità coinvolte nella conservazione del Patrimonio Culturale: restauratori, archeologici, architetti, storici dell’arte e altri professionisti che allo stesso titolo degli scienziati della conservazione, sono di fatto gli artefici del restauro e della manutenzione dei nostri monumenti e dei Beni Culturali in Italia e nel mondo. In questo senso sono tutti Restauratori Senza Frontiere, senza confini professionali, confessionali, ideologici o politici. Sono persone che desiderano contribuire alla protezione del nostro immenso e unico Patrimonio Culturale, cittadini consapevoli che ritengono fondamentale tramandare il nostro passato e consolidare il presente per le future generazioni.

I nostri Beni Culturali: tutela e valorizzazione sostenibile

Oltre il sensazionalismo, l’allarme e la denuncia, va da sé che i complessi temi riassunti nel lungo testo di questa lettera aperta, chiedono risposte tanto ponderate quanto urgenti e conseguenti. In sette punti tenterò, per quanto mi è possibile, di delineare un quadro sufficientemente esplicativo di quanto sta accadendo ai nostri Beni Culturali dal punto di vista della loro salvaguardia e alla categoria formata dallo Stato al fine di garantirne la corretta conservazione, coscienti che l’irripetibilità e la fragilità dei manufatti e dei tessuti culturali che la storia ha consegnato a noi Italiani meritino tutte le nostre cure, intese soprattutto come il meglio che possiamo dare: un quadro legislativo, normativo e attuativo a parte, regolamentato secondo criteri diversi e specifici e, a mio avviso, oggi ancora carente.

I temi trattati sono di una portata tale da suggerire l’organizzazione di un convegno, coordinato da RSF, su Tutela e Valorizzazione sostenibile, nel quale dibattere i vari aspetti delle dinamiche economiche, sociali e culturali qui di seguito analizzati.

Le rinnovate polemiche intorno al restauro del Colosseo testimoniano la preoccupazione diffusa che uno dei più importanti monumenti del nostro Patrimonio Culturale stia correndo uno tra i più gravi pericoli della sua lunga storia conservativa. Un rischio paventato già all’avvio dei lavori, quando il Commissario straordinario alla tutela archeologica di Roma, utilizzando l’enorme potere discrezionale degli organismi in deroga, declassò il monumento simbolo della romanità, consentendo così di affidare i delicati compiti della sua conservazione non a imprese qualificate nel settore del restauro specialistico ma in quello generale dell’edilizia, senza considerare adeguatamente il fatto che la sorprendente architettura è costruita con materiali antichi, storicizzati, con la loro pelle d’invecchiamento naturale, il cui restauro implica necessariamente il controllo di interferenze che possono alterare, ledere, cancellare le loro peculiarità. Intorno al Colosseo si addensano da tempo nubi di tempesta, sintomo di questo pericolo e anche del disagio profondo di un’intera categoria di professionisti che riverbera nella sinistra fama dell’arena un possibile presagio di annientamento della professione del Restauratore di Beni Culturali e dell’intero patrimonio scientifico, di esperienze e di studio di sua competenza.

Nella distorsione del senso di applicazione di norme fondamentali della tutela, che ha purtroppo gravissime conseguenze quando a farne le spese è il nostro fragilissimo patrimonio archeologico, si palesa il fatto che il nostro paese sta andando in una direzione sbagliata e tendenzialmente disgregativa, anche nei riguardi dello sviluppo economico del settore dei Beni Culturali, contro la nostra Storia, la nostra Cultura, contro il nostro Patrimonio Culturale.

“Siamo una super potenza sul piano dei valori e dello sviluppo della cultura”

L’attuale crisi, che Lei, Signor Presidente, con il Governo Renzi sta concretamente ed efficacemente tentando di superare, sembra avere in parte distolto l’attenzione dell’opinione pubblica dai gravi problemi che affliggono da molto tempo il settore dei Beni Culturali. Come, in modo chiaro e limpido, Lei ha espresso nel bellissimo discorso inaugurale per l’Anno Accademico 2015 all’Alma Mater Studiorum, l’antica Università di Bologna, la prima nel mondo occidentale: “…noi siamo una super potenza sul piano dei valori, sotto l’aspetto generale dello sviluppo della cultura, unica e progressiva, dai tempi antichi ai giorni del futuro che ci aspetta…”. Tale consapevolezza si riflette anche nelle affermazioni del Ministro Franceschini che ripetutamente rivendica il fondamentale orientamento economico del suo ministero: “Il Parlamento e il Governo Renzi stanno dimostrando con atti concreti di vedere nella cultura e nel patrimonio culturale la vocazione del Paese e su questo costruire le priorità di politica economica”. Tale affermazione politica è stata ribadita nuovamente riferendosi all’emendamento alla legge di stabilità, con prima firmataria la parlamentare PD Maria Coscia, che consentirà una “dotazione iniziale di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2020“, destinati alla valorizzazione e alla tutela dei Beni Culturali.
Benissimo. Ma come operatore culturale, nel ruolo di Presidente di un’Associazione di promozione sociale, non posso, a nome anche di molti altri esperti, non esprimere una certa perplessità riguardo ad accadimenti e formulazioni legislative ereditate dall’attuale governo proprio in questo settore.

I Beni Culturali, il Restauro e la Normativa vigente

Il grande e crescente interesse dimostrato da tante persone, a vario titolo addetti ai lavori, nasce dall’evidente inadeguatezza dell’attuale sistemanormativo di fronte alle delicate problematiche conservative necessarie a preservare opere, monumenti e istituzioni facenti parte, non di rado, di elaborati sistemi storico-artistici e culturali.

L’evoluzione legislativa sembra dirigere il nostro paese in una direzione opposta e tendenzialmente disgregativa proprio nei riguardi di quello sviluppo economico e di quei valori da Lei tanto chiaramente espressi, che ci fanno sentire orgogliosi di essere Italiani e che sono effettivamente l’effigie della nostra identità: la nostra storia, la nostra cultura, cioè il nostro Patrimonio Culturale. Al contrario di quello che continuamente sentiamo dire nei discorsi ufficiali, l’impatto di molti di questi provvedimenti espone il nostro Patrimonio Culturale, Presidente Renzi, a forti rischi.

L’argomento è molto complesso e meriterebbe uno studio storico più approfondito; cercherò, tuttavia, di riassumere la situazione attuale, come spunto di riflessione e come invito a riconsiderare una situazione etico-politica molto delicata e un grave disagio sociale, che, a mio avviso, affondano le radici in una erronea impostazione riguardo alla cultura della tutela nella quale il nostro paese è scivolato ormai da molti anni.

A mio parere, un primo errore fondamentale (risalente alla prima legge Merloni) è stato di aver considerato le attività correlate alla salvaguardia, al restauro e alla conservazione dei manufatti afferenti al Patrimonio Culturale come Lavori Pubblici e, in quanto tali, assoggettabili alla leggi e alle stesse norme attuative che regolamentano l’affidamento e l’esecuzione degli appalti pubblici per i lavori edili. L’orientamento attuale ha invece portato a considerare monumenti unici al mondo, come il Colosseo o il Tempio di Antonino e Faustina nel Foro Romano (ma anche cicli di affreschi o antiche sculture in bronzo, o monumenti complessi come il Vittoriano), alla stessa stregua della costruzione di un edificio civile, mandando, di conseguenza, in gara d’appalto delicati lavori di restauro e di conservazione con le stesse procedure pensate per la realizzazione di un ponte autostradale o di una nuova chiesa: gare al massimo ribasso dove si accettano sconti fino al 65% e oltre, che rivelano, palesemente, o una progettazione incompetente o, più credibilmente, un’esecuzione dei lavori trasandata o ingannevole, che, in questo campo specialissimo è di difficile dimostrazione. Infatti, nei lavori di restauro conservativo, non è l’aspetto estetico che ne certifica il buon esito, ma la coscienziosa conduzione degli interventi conservativi, difficilmente accertabili con le prove normalmente utilizzate nei collaudi dell’edilizia. I risultati, spesso tragici e irreparabili si vedono anni dopo. Se un ponte sull’autostrada, per quanto drammatico possa esserne l’esito, subisce lesioni o crolla, si rifà, eventualmente a spese dell’impresa, se colpevole. Un monumento rovinato è per sempre e il danno inestimabile.

Nella legge quadro in materia di lavori pubblici (Legge 11.02.1994 n° 109) un freno e un distinguo erano stati giustamente individuati e normati in seguito nel Codice degli Appalti (D.Lgs 163/2006), con chiarissime regole che definivano settori e categorie di riferimento per le attività nei diversi campi dell’edilizia monumentale e del restauro conservativo dei monumenti storici e delle superfici decorate degli stessi: le categorie denominate OG2 (Opere Generali) e OS2 (Opere Specialistiche). Ciononostante regole semplicissime, come la separazione, nelle gare, tra appalti di lavori in OG2 e in OS2, sono state molte volte trasgredite, inserendo frequentemente e ormai sempre più spesso, il restauro di opere d’arte in bandi con prevalenza di lavori edili, aprendo di fatto la possibilità di esecuzione, difficilmente controllabile, di lavorazioni previste in OS2 da parte dell’Impresa OG2. Non è infrequente neanche la pratica, semplice e spudorata, dell’inserimento di voci di restauro di beni artistici e di interi apparati decorativi in perizie per lavori appaltati nella categoria OG2 (il restauro del Vittoriano docet, come alcune chiese inserite nel Grande Progetto Unesco per il centro storico di Napoli oppure a L’Aquila).
Degno di nota è il fatto che non succede mai il contrario, né un’impresa di restauro specialistico si sognerebbe mai di rifare un tetto o di realizzare nuove tramezzature previste nella ristrutturazione di un palazzo storico.A queste improprie applicazioni della legge si aggiungono oggi evidenti storture contenute nella legge n. 7/2013 (ex art. 182 del Codice dei Beni Culturali) e nelle linee guida applicative della “disciplina transitoria del conseguimento delle qualifiche professionali di restauratore di beni culturali”, dove si prevede, seguendo una logica desunta prevalentemente da una visione del restauratore come artigiano dotato soltanto di particolari competenze manuali e dove si nega una professionalità piena e organica, che diplomati o laureati vengano inseriti in un elenco suddiviso in 12 settori di competenza tenuto dal Ministero, negando di fatto (e apparentemente in modo inspiegabile) esperienze professionali scaturite da percorsi formativi articolati e di livello altissimo, normati dall’ordinamento statale e contraddicendo la prassi consolidata nell’ambito dell’amministrazione pubblica che tali professionalità ha sempre riconosciuto, affidandosi ad esse per il compimento di attività di restauro di opere d’arte di inestimabile valore, di grande complessità tecnica e artistica, classificate come di interesse pubblico e spesso riconosciute come Patrimonio dell’Umanità. Nella sostanza, chi oggi opera a tutto campo, secondo le proprie specializzazioni e gli approfondimenti professionali e curriculari, non potrà più operare che in settori molto ristretti della propria professione: come se un medico, tutt’a un tratto, non fosse più medico in senso pieno, ma una sottospecie di specialista in grado di curare solo parti definite del corpo. A chi spetterebbe poi la diagnosi? Al contrario di come dovrebbe essere, invece di consentire a chi ha ricevuto una formazione generale e per macro settori di approfondire e acquisire, tramite master, ulteriori specializzazioni, si norma il confinamento settoriale, e, per giunta, retroattivo.
Inoltre, al problema dei 12 settori di competenza (per inciso va detto che in Europa la suddivisione della professione in settori non esiste) che ledono, nella loro concezione, lo spirito e la capacità progettuale e operativa dei Restauratori di Beni Culturali, si aggiunge il fatto che a coloro che da decenni operano sul campo e che, oltre ad aver restaurato in tutto il mondo un grandissimo numero di straordinari e complessi monumenti, hanno costruito e diffuso l’immagine del restauro Italiano nel mondo (una delle poche eccellenze riconosciute e apprezzate ai massimi livelli ovunque), viene negata la loro stessa professionalità.
Si tratta del mancato riconoscimento dell’equiparazione del titolo ai diplomati delle scuole di Alta Formazione prima del 2009, con riferimento alla classe di laurea LMR/02 magistrale a ciclo unico in Conservazione e Restauro di Beni Culturali, istituita sulle indicazioni contenute nel Decreto Ministeriale 87/2009, Regolamento attuativo del Codice dei Beni Culturali, proprio sul modello di quelle scuole che hanno reso celebre l’Italia (ICR e OPD) e che formavano i diplomati anche prima del 2009.

La stortura del restauro del Colosseo e le norme violate

Questo modo iniquo e miope di vedere le cose, tra norme discutibili e destabilizzanti, si coagula nella vicenda del restauro dell’Anfiteatro Flavio, a Roma, nel centro della cultura archeologica.

Nell’arena del Colosseo, luogo di nefaste persecuzioni, questa volta ci sono finiti i restauratori, categoria creata e preposta dallo Stato alla conservazione dei Beni Culturali del Popolo Italiano. Il restauro del Colosseo è purtroppo oramai l’evidenza che abbiamo imboccato una strada sbagliata. Il fatto, accettato incredibilmente da tutti, dopo aver zittito le numerose e autorevoli voci di esperti e di cittadini appassionati e attenti, che il più importante monumento dell’archeologia monumentale occidentale sia stato affidato alle mani inesperte di imprese edili senza adeguata, né richiesta, cultura specialistica nel campo della conservazione, settore delicato e considerato dalla normativa vigente come “super- specialistico”, è il sintomo che esiste una crisi di valori molto profonda.

La situazione è ben nota agli addetti ai lavori, ma i numerosi allarmi lanciati già anni prima che iniziassero i lavori, prefigurando guasti e scontri tra categorie, sono rimasti assurdamente inascoltati e confinati in aree marginali della comunicazione e del dibattito culturale.

Non si tratta di costruire ma di conservare

L’articolo 9 della Costituzione stabilisce che la Repubblica “promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” e “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Il Colosseo è oggi in mano a un’impresa di costruzioni per abitazioni civili e opere industriali, che non aveva mai eseguito restauri di edifici monumentali (OG2), nemmeno uno! E tantomeno ha competenze per la super-specialistica OS2A.

ASPERA Spa si autodefinisce, nell’intestazione del suo sito web, come: Aspera Costruzioni Generali – Edilizia, Strade, Energia. Le imprese di restauro specialistico OS2A contengono nelle loro denominazioni termini quali: Conservazione, Restauro, Beni Culturali, Restauro di Opere e Manufatti Artistici, ecc. Ci sarà forse qualche differenza?

Il problema, in genere e anche al Colosseo, non è tanto chi fa i lavori, ma come si fanno e questo dipende dalle competenze di chi è il responsabile dell’operato di coloro che collaborano alla realizzazione degli interventi, che ne attua e definisce i criteri e le modalità operative: la responsabilità di chi, ogni giorno, è in cantiere per mettere a punto e calibrare le metodologie d’intervento, che nella OS2A non corrispondono a nessuna delle mansioni dell’operaio edile (tra le cui specializzazioni, va sottolineato, non esiste quella di restauratore!) e a controllarne la qualità di esecuzione ad ogni passo, su ogni singolo metro quadro sopravvissuto alle ingiurie del tempo. Il titolare di un’impresa di restauro di beni culturali è di solito un restauratore e in quanto tale opera in cantiere, luogo dove ogni situazione locale è tendenzialmente diversa da quella delle altre aree dello stesso manufatto, in virtù dell’esposizione alle diverse dinamiche deteriorative cui quell’area è stata maggiormente esposta. Ogni centimetro quadrato di un’opera d’arte o di un monumento storico deve essere considerata come potenzialmente recuperabile e conservabile, dunque consolidata e presentata esteticamente. Il titolare di un’impresa edile è, di norma, escluso dal ciclo produttivo e dunque delega altri. La Direzione dei Lavori, nel caso del Colosseo è addirittura il Direttore dell’ISCR, l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, massima autorità nel campo, è preposta al controllo generale degli interventi. Ma, come per qualunque Direzione dei Lavori, non è possibile garantire che non si facciano errori se non a posteriori e, dunque, che in cantiere ci siano le giuste professionalità risulta determinante. Il direttore sanitario di una clinica non potrà mai assicurare che ogni paziente sia operato con successo, se in sala operatoria non troverà un chirurgo ma semplicemente il tecnico che ha costruito la sala in cui sarà operato. Ad ogni visita in cantiere, il Direttore dei Lavori potrà constatare, a cose fatte, la qualità dell’esecuzione dei lavori e, in caso, porvi rimedio con severi ordini di servizio, affinché non si verifichino ulteriori danni.

Al Colosseo questo avvenne quasi subito e i lavori, infatti, furono fermati e fu imposto (paradossalmente) che al posto degli operai edili che facevano danni, fossero presenti in cantiere dei Restauratori di Beni Culturali, cioè i veri destinatari dei lavori, titolari di imprese specializzate nella categoria OS2, così come da sempre era successo in tutte le aree archeologiche del nostro paese, aree di scavo che ospitano reperti miracolosamente arrivati fino ai giorni nostri.

Ad esempio si possono portare i numerosi cantieri realizzati dal Comune di Verona sull’anello esterno dell’Anfiteatro Arena, sotto la direzione della Soprintendenza ai Beni Ambientali della Provincia di Verona e del Politecnico di Milano tra il 1997 e il 2010; il restauro dell’Anfiteatro Romano di Luni (Soprintendenza Archeologica della Liguria) tra il 1993 e il 1999 e il Teatro Romano e le Terme di Ventimiglia, 1998-2000, tutti interventi realizzati nella categoria OS2, esclusivamente da imprese di restauro di beni culturali. Ma, al contrario di come potrebbe sembrare, inserire inopportunamente i restauratori in un appalto consegnato a imprese edili (cioè di “costruzione” e non di “restauro conservativo”: per inciso, nel restauro conservativo non si costruisce niente, mai; si conservano e si stabilizzano i materiali costitutivi originali) non risolve in alcun modo il problema: le dinamiche applicative delle metodologie d’intervento seguiranno comunque le direttive degli appaltatori e tra inesperienza, inadeguatezza tecnica, mancanza di adeguata formazione etico-culturale e scientifica nei confronti dei reperti da conservare, prima ancora che da presentare esteticamente (la pulitura è prima di tutto la rimozione di depositi aggressivi per il manufatto, piuttosto che un intervento di maquillage, di per sé opinabile, discutibile nei risultati e, in fin dei conti, operazione di gusto congetturale), sia pur avvalendosi di un team operativo adeguato sulla carta, il risultato sarà con ogni probabilità deludente, come un concerto eseguito da una grande orchestra diretta da un direttore scadente.

L’insuccesso sarà riconosciuto dai critici più attenti, ma non ci sarà più molto da fare se non cambiare il direttore d’orchestra; che non è, tornando al Colosseo, il Direttore dei Lavori o il Committente o lo Sponsor, ma l’Appaltatore, scelto in base ad un progetto compilato eludendo tutti i risultati delle indagini, dei test operativi, dei saggi tecnici sul campo e del cantiere pilota che condussero al primo appalto dei lavori nel 1999, i cui eccellenti risultati sono ancora oggi sotto gli occhi di tutti.

Il cantiere pilota fu realizzato a seguito degli studi e delle approfondite indagini preliminari condotte dalle tre Università di Roma, La Sapienza, Tor Vergata e Roma Tre, iniziate nel 1995 e fu eseguito sulla base di due saggi esplorativi di grandi dimensioni (due arcate, pulite e consolidate dai Restauratori di Beni Culturali della CBC e dalla Restauratrice Cecilia Bernardini) per individuare la corretta metodologia d’intervento e quantificare i costi operativi. Furono applicati i metodi già sperimentati e messi a punto nel periodo 1981-88 da Paolo e Laura Mora con l’Istituto Centrale del Restauro e la Soprintendenza Archeologica di Roma per i grandi monumenti della scultura romana all’aperto: dall’Arco di Costantino alle Colonne Antonina e Traiana. Il cantiere pilota realizzato sul Colosseo secondo criteri di correttezza scientifica, condusse a risultati molto positivi e duraturi, oggi parametro di riferimento indiscutibile.

L’architetto Gisella Capponi, oggi a capo dell’ISCR (ex ICR, istituto che vide alla direzione Cesare Brandi, Giovanni Urbani e Michele Cordaro), sa bene che molte cose non quadrano in questo progetto, tant’è vero che, cercando di salvare il salvabile, per non vederne azzerata l’immagine e non perdere le tracce di due millenni di storia dei materiali lapidei del Colosseo, impose in cantiere l’operatività dei restauratori, creando, suo malgrado, una situazione paradossale, per la presenza stessa di operatori del campo della OS2 in ambito OG2, assunti addirittura con contratti dell’edilizia industriale e determinando una situazione tale che, se il lavoro riuscirà bene, sarà merito delle imprese OG2, se fallirà, sarà invece colpa dei restauratori.

L’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro è, non va dimenticato, un organo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ed è evidente che, anche volendo, non potrebbe comunque sottrarsi a orientamenti prestabiliti, suggerendo solo, eventualmente, cautela e buon senso, senza, con ogni probabilità, poter sortire esiti apprezzabili.

Ciò che era apparso attraente e fattibile ai progettisti e alle imprese OG2 era l’apparente semplicità delle operazioni di pulitura, basate sulla “semplice” nebulizzazione di acqua corrente: 10, 100, 1000 ugelli… e la cosa è fatta, si passa a riscuotere… Ma non è così: l’acqua, il principe e il più potente tra i solventi, così come sulla grande scala fa i danni che oramai, grazie ai recenti cambiamenti climatici, stanno dolorosamente sotto gli occhi di tutti, devastando campagne e città, provocando erosioni che hanno esiti drammatici, su scala microscopica può dare risultati analoghi. La nebulizzazione può provocare danni profondi, non solo per le infiltrazioni che possono essere facilmente scongiurate, ma per modalità e tempi di applicazione, soprattutto quando c’è tanta fretta.
I Restauratori di Beni Culturali: professionalità ed efficienza

In proposito colgo l’occasione per rispondere anche all’arch. Donatella Fiorani (Ordinario di Restauro architettonico all’Università La Sapienza di Roma) che depositò in atti del 2009 un saggio peritale in base al quale il Consiglio di Stato pronunciò la sentenza di conferma per l’assegnazione dell’appalto di restauro del Tempio di Antonino e Faustina nel Foro Romano a un’impresa edile, sentenza che permise ipso facto all’arch. Roberto Cecchi, allora Commissario Straordinario alla Tutela Archeologica di Roma, di declassare il monumento simbolo della romanità e di affidare, dunque, il restauro del Colosseo a imprese edili. Nel saggio citato, si rivendica la necessità di non lasciare totale autonomia all’intervento dei restauratori (per la cui formazione e operatività è riconosciuta almeno la definizione di Professione e non di Mestiere) nella soluzione di problemi applicativi e gestionali “di natura schiettamente architettonici”. In realtà questa necessità, il lavoro di équipe, è da sempre sentita, sostenuta e attuata dai restauratori, categoria formata espressamente dalle Scuole di Alta Formazione (SAF) per fare da tramite tra il monumento storico, l’opera d’arte e tutti gli esperti che necessariamente contribuiscono alla conoscenza dei materiali storicizzati e dello stato di conservazione dei manufatti sia decorati, sia non decorati e, quindi, a seguito delle indagini preliminari, procedere alla realizzazione del progetto esecutivo. Va precisato, inoltre, che per il Progetto Esecutivo dei lavori afferenti al Patrimonio Storico Monumentale ne è prevista, per norma legislativa, la definizione sul campo, a consegna dei lavori avvenuta, per la difficile determinazione a tavolino delle reali necessità del monumento. E anche per questa Progettazione Esecutiva ai sensi del DM 86/2009 è prevista la figura normata del Restauratore di Beni Culturali.

Ma, sempre nel citato saggio peritale, si afferma che la formazione del Restauratore di Beni Culturali è, per sua “natura” (?) “essenzialmente operativa e applicativa”. Nel cantiere edile, si legge ancora che operano “maestranze di diversa qualificazione, abituate ad affrontare la larga scala dell’architettura, ad integrare competenze operative distinte per risolvere problematiche conservative di tipo strutturale, tecnologico e materiale, nonché al coordinamento degli interventi sotto il controllo di una direzione dei lavori; dall’altra troviamo operatori di formazione omogenea, non estranei ad una conoscenza anche teorica delle questioni affrontate sul piano tecnico-scientifico ed artistico nonché allenati ad una manualità prevalentemente risolta alla piccola scala”. Asserzioni (che qualcuno potrebbe considerare al limite della diffamazione) basate su di una conoscenza lacunosa dell’ambito cui si riferisce: la formazione dei restauratori di beni culturali di omogeneo ha solo il rispetto dei manufatti che prende in cura, della loro pelle d’invecchiamento naturale e dei materiali costitutivi storicizzati, cosa che manca completamente nella formazione delle maestranze edili. Per il resto le competenze sono le più diverse, in relazione ai diversi materiali costitutivi e anche alla scala di intervento. Coordinamento, organizzazione, problematiche strutturali relative ai manufatti, sono assolutamente specifici e non esportabili negli altri ambiti di competenza, così come è vero il contrario: i consolidamenti strutturali delle fondamenta, delle coperture o delle strutture architettoniche, su qualunque scala, niente hanno a che vedere con le analoghe (solo nella definizione) categorie di consolidamento e protezione di antichi materiali costitutivi di rivestimento, di finitura o di decorazione; ripeto, su qualsiasi scala di applicazione.

Non si tratta di dimensioni, ma della capacità di rispettare quel diaframma delicato e quasi immateriale (la cosiddetta pelle d’invecchiamento naturale) e i materiali stanchi, inquinati e deteriorati dei nostri monumenti. A dimostrazione di questo, gli interventi all’Arena di Verona sono stati totalmente eseguiti da imprese OS2, in 13 anni di duro e attento lavoro, da diverse, validissime imprese, per una consistenza di più di 20.000 mq. E i tempi, solo apparentemente lunghi, non furono determinati dall’incapacità organizzativa degli addetti ai lavori, ma dalla limitatezza dei flussi finanziari del Comune di Verona e, comunque, in ossequio anche alla prudenza e alla buona conduzione del restauro.

Un raggruppamento d’imprese ben coordinate da una competente Capogruppo e da un’attenta Direzione dei Lavori avrebbe potuto certamente svolgere i lavori, garantendo la stessa qualità, in una frazione del tempo impiegato.

Ad Assisi, per esempio, in pochi mesi tra il 1998 e il 1999, più di cinquanta Restauratori (da molti anni ormai Professionisti e non più Artigiani, con tutto il rispetto e l’ammirazione per gli Artigiani), affrontarono il disastro provocato dal terremoto, insieme a tutte le professionalità giustamente coinvolte (storici dell’arte, ingegneri, architetti, strutturisti, chimici, fisici, fotografi, vigili del fuoco, ecc.) e restaurarono più di 5000 mq di affreschi tra i più importanti della cristianità e del mondo occidentale. Per non parlare dei 300.000 frammenti ricomposti in seguito.
La scala su cui si gioca la partita conservativa dei nostri beni culturali non ha niente a che vedere con la brevità di esecuzione di un progetto. La celerità nel nostro lavoro dipende, in casi come quelli del Colosseo, dal numero di addetti impiegati e coordinati e dalle risorse messe in campo. Il problema, Signor Ministro Franceschini, è che con 590 € al mq si fa un buon lavoro (media degli appalti a Verona fino al 2010), mentre con 59 € a mq, al netto del ribasso di gara (e come si cerca di subappaltare ciò che non si fare al Colosseo alle imprese specialistiche OS2, contro le regole di gara e dunque contro la legge), non si può realizzare nessun intervento tecnicamente corretto.
Inoltre i tempi necessari all’esecuzione li decide il monumento stesso, è non può essere determinato da dinamiche legate ad eventuali, ben accette, sponsorizzazioni. Il tempo di realizzazione del primo appalto, nel 1999 (costato 499.000.000 lire), fu di circa 8 mesi, per una superficie di più o meno 1600 mq. Furono impiegati in media 6 restauratori specializzati, in organico all’impresa OS2 (Meridiana S.r.l., di Firenze). Basta fare un piccolo calcolo e si ottiene il tempo medio di esecuzione per un 1 mq, per un uomo. Il risultato è 1,1 mq al giorno per ogni uomo.
La superficie da restaurare consegnata a Gherardi/Aspera è di circa 45.000 mq. Gherardi, prima di cedere l’appalto ad Aspera Spa aveva realizzato il restauro di 5 arcovoli, cioè cinque arcate per l’intera altezza sul fronte settentrionale del Colosseo. Due di questi arcovoli erano in realtà già stati restaurati da Meridiana e furono solo adeguati cromaticamente ai nuovi restauri. Il tempo impiegato è stato di 10 mesi, per circa 1400 mq, impiegando 8 operai/restauratori: risultato 0,58 mq al giorno per ogni uomo in OG2: cioè, circa il doppio del tempo medio di esecuzione del precedente cantiere in OS2.

Come si vede, dunque, il lavoro in OS2 non solo fu più efficiente e più veloce ma riuscì anche meglio, sia dal punto di vista della presentazione estetica, sia, presumibilmente, da quello della conservazione. D’altronde, i lavori di Gherardi, ai ritmi descritti (5 fornici l’anno), avrebbero richiesto non tre anni, come imposto contrattualmente, ma 20 anni!

L’Arena di Verona, restauro molto più complesso, pari a circa la metà della superficie del Colosseo, svolto tutto in OS2 con tempistiche lente e molti tempi morti, in ossequio alle esigenze delle stagioni liriche, dell’espletamento delle numerose gare e per l’attesa dei finanziamenti annuali, ha richiesto solo 13 anni. Serve altro per capire che le imprese OS2, anche su superfici consistenti hanno competenza ed efficienza da vendere? Inoltre il Colosseo non ha fretta, sta lì, da secoli, anzi da due millenni. Lasciamocelo ancora un po’.

Con buona pace di tutti, anche delle imprese OG2, è evidente che il contributo delle imprese edili nel campo del restauro monumentale ha comunque un ruolo importantissimo; e questo è vero anche nel restauro stesso del Colosseo: tutti gli interventi strutturali (le cancellate, i consolidamenti delle strutture, ecc.) e quelli per l’organizzazione logistica, le opere provvisionali, gli impianti, sono ovviamente da considerare appannaggio delle imprese edili.

Il passo finale del saggio peritale condiviso dal Consiglio di Stato nel 2009, recita: “L’ideale sarebbe prevedere una modalità di appalto in cui le attività dell’impresa edile e del restauratore godano di un equilibrato trattamento, senza che la progettazione preveda uno ‘scorporo’ artificiale e forzato fra categorie di lavoro e senza una subordinazione contrattuale che penalizzi il restauratore e, con esso, la qualità finale del lavoro. Su questo aspetto, probabilmente, il legislatore dovrà ancora lavorare”. Nel testo citato, all’Impresa Edile è contrapposto il Restauratore, invece che l’Impresa di Restauro Specialistico OS2, la quale, come categoria imprenditoriale, nel palese auspico di una Categoria Unica (evidentemente la OG2), dovrebbe essere di fatto, contro ogni logica, eliminata.

Valorizzazione, tutela ed etica della conservazione

Il lavoro di restauro degli immobili storici monumentali, archeologici e non, decorati o meno, è certamente, come chiaramente affermato da Cesare Brandi e da Carlo Giulio Argan molti decenni or sono e messo in pratica mirabilmente da Giovanni Urbani in Italia già sul finire degli anni 70 del secolo scorso, il risultato del lavoro coordinato di molti esperti e di imprese specializzate, dallo studio, alla progettazione, all’esecuzione. Ognuno secondo le proprie competenze.

Per dirla fuori dai denti, vista la querelle infinita e l’ormai inevitabile scontro tra categorie di imprese generaliste e specialistiche e tra diverse politiche delle tutela e della conservazione, intorno al Colosseo, mettendo in forse addirittura la sua corretta conservazione, si sta svolgendo una guerra di interessi economici e di marketing, che piuttosto che verso la valorizzazione, secondo i buoni e certi propositi di questo Governo e del Ministro Franceschini, sembrerebbe portare verso la sua stessa negazione, conducendo questo e tutti i monumenti storici in balia delle dinamiche del mercato, contravvenendo alle più basilari regole della tutela. Infatti, madre di tutti i futuri guasti che saranno perpetrati sulle superfici e sui materiali costituivi storicizzati dei nostri immobili archeologici e storici, la vicenda del Colosseo già sta dando i sui frutti velenosi nel mondo degli appalti.

Grazie alla sentenza del Consiglio di Stato sul Tempio di Antonino e Faustina, anch’esso dato erroneamente in appalto alle imprese edili, è di questi giorni il progetto che vedrà bandito in gara in OG2 (Opere Generali edili) il fragile Teatro Romano di Luni dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Liguria (o dall’istituto che a breve la sostituirà) benché i responsabili dell’Area Archeologica di Luni siano fortemente in disaccordo, visti i tanti risultati positivi realizzati nella stessa area e in altri scavi archeologici della Liguria su monumenti all’aperto (Anfiteatro Romano di Luni, Teatro Romano di Ventimiglia, ecc.), tutti realizzati da Restauratori di Beni Culturali in OS2 e che si ergono, a distanza di 20 anni dai primi interventi, fieramente a esempio di come vanno affrontati questi lavori (vedere gli atti del convegno Il Restauro Archeologico: La Conservazione dei reperti – La Manutenzione dei Siti – 17 e 18 Ottobre 2014 – Sarzana).

Tutt’a un tratto questo grande lavoro di ricerca, condotto in maniera multidisciplinare con grande attenzione e competenza scientifica e metodologica, verificando la qualità delle tecniche d’intervento e dei materiali messi a punto, convalidati seguendo rigidi protocolli sulle dinamiche di invecchiamento delle malte e sui risultati convalidati dei precedenti interventi, condotti con giusti tempi e collaudati di volta in volta, non è più da tenere in considerazione.

Non vale più la prudenza di eseguire i lavori seguendo tempistiche ragionevoli. Non serve più seguire i risultati in modo puntuale e risolvere gli inevitabili problemi legati alle condizioni locali, forzatamente differenti nelle diverse aree del monumento; non vale più il criterio della competenza di chi opera secondo i principi dell’etica della conservazione. Valgono soltanto i criteri del marketing: con le sue regole, con i suoi tempi e alle condizioni di chi il lavoro garantisce di eseguirlo in tre anni.

Aspera, impresa totalmente inesperta nel settore ma molto coraggiosa, ha avuto il merito di promettere di risolvere il problema mettendo in campo criteri logistici e di organizzazione aziendale che risolveranno il danno di immagine provocato dalle difficoltà dell’Impresa Gherardi e di realizzare quanto indicato nel contratto d’appalto. Nei prossimi 12 mesi l’appaltatore promette di eseguire il lavoro su 70 arcate alte fino a 22 metri del Colosseo: quasi 35.000 mq in un anno!

Per ottenere i giusti risultati non si possono eludere criteri stabiliti a seguito di molti decenni di ricerca, di conduzione di lavori esemplari e di affidamento a imprese specialistiche. L’organizzazione aziendale delle imprese OS2 non ha nulla da invidiare a quella delle imprese OG2 per quanto riguarda le superfici da conservare e restaurare, sia decorate sia non decorate, e dei materiali storicizzati dell’architettura. Oltre al progetto sbagliato, oltre alla filosofia sottostante deragliata, oltre al prevedibile danno al monumento, tutto questo mina profondamente alla base ogni corretto concetto di tutela e aggira tutti i buoni propositi di questo governo, creando di fatto un declassamento dei Beni Culturali.

Dove stiamo andando?

Proprio in questo momento, mentre imperversa la polemica sui profili di competenza, sulla supremazia tra Università e Scuole di Alta Formazione, mentre si decide se dare giusto riconoscimento alle professionalità che del restauro Italiano nel mondo hanno fatto un’eccellenza universalmente riconosciuta, mentre si pianifica l’istituzione di altre università private con la finalità di formare molti nuovi Restauratori di Beni Culturali, in modo contraddittorio, invece di programmare nuova, corretta occupazione per il settore e garantire che i nuovi laureati trovino pronto e recettivo il loro giusto campo di impiego nella conservazione e nel restauro dei Beni Culturali, si applica uno scippo inqualificabile e dissennato alla categoria che, di nuovo, contro le buone intenzioni del governo e del Ministro dei Beni Culturali, determina una contrazione dell’occupazione nel settore e l’inevitabile pericolo per importanti e insostituibili testimonianze di un passato tanto glorioso quanto evanescente del nostro paese, unico al mondo. In tutti i sensi, purtroppo.

A tali dinamiche economico-culturali, tra valorizzazione, tutela, lotte di potere e modalità di applicazione della legge non propriamente rispettose dei Beni Culturali, a nome dell’associazione Restauratori Senza Frontiere, delle centinaia di professionisti e addetti ai lavori di conservazione e restauro dei beni culturali italiani e di tutti coloro che vorranno aderire alle petizioni che porteremo avanti nei prossimi giorni, chiedo al Ministro Franceschini e al nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi di riconsiderare con rinnovato interesse la questione, di adoperarsi per migliorare la normativa riguardante la tutela dei Beni Culturali, le procedure di affidamento dei lavori di restauro conservativo, e di riesaminare i problematici contenuti della legge n. 7/2013 e delle linee guida applicative della disciplina transitoria del conseguimento delle qualifiche professionali di restauratore di beni culturali, e soprattutto l’inquietante suddivisione in 12 settori di competenza e di consentire l’equiparazione del titolo dei diplomati delle scuole di Alta Formazione conseguito prima del 2009 alla classe di laurea LMR/02, per dare, infine, una risposta agli inquietanti quesiti sulle sorti del Restauro Italiano e dei nostri Beni Culturali monumentali.                                                                                                                                                              

Signor Presidente, Signor Ministro,

nell’augurare buon lavoro a Voi e a tutto il governo, in questo momento tanto delicato per il nostro Paese, e di poter realizzare i grandi e importanti progetti intrapresi, se lo riterrà utile e opportuno, RSF, con il suo Comitato Direttivo, sarà felice di offrire qualunque possibile contributo di idee e di fatti, assicurando una partecipazione attiva e concreta, anche attraverso il Comitato Scientifico, per qualsiasi possibile attuazione di modifiche migliorative alle presenti norme attuative per la tutela dei Beni Culturali Italiani.

 

Roma, 1 febbraio 2015.

Paolo Pastorello – Presidente di Restauratori Senza Frontiere Italia 

 

 

3 Commenti

  1. Reply

    Gliso

    9 anni ago

    La grande sfida sarebbe restauro ricostruttivo filologico.

  2. Reply

    ENRICO

    9 anni ago

    se le foto che pubblicate sono autentiche, questo è un restauro che si presenta come un bell’esempio di dilettantismo

  3. Reply

    pietro giannone- pagina professionale

    9 anni ago

    Qui la categoria prevalente non può che essere OS2, dunque l’appalto doveva essere necessariamente un appalto di restauro, associato ad una impresa con OG2. Ha sbagliato chi ha predisposto il bando di gara. Se l’impresa poi aveva le due categorie doveva dimostrare di avere nell’organico restauratori di specchiate esperienza. La direzione Lavori ha l’bbligo di controllare i curricoli dei vari restauratori. Oggetto dell’appalto sarà stato anche il progetto del restauro dove viene evidenziata tutta la mappatura dei degradi con relative analisi necessarie, e per ogni tipologia di degrado l’adeguato intervento di restauro. In ultimo il progettista del restauro deve avere anche una visione estetica finale: la sigillatura dei giunti dell’ultimo ordine mi sembra molto critica…

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